Relazione tra infezione da coronavirus ed esiti nei pazienti oncologici
Due studi hanno affrontato la relazione tra infezione da coronavirus ( SARS-CoV-2 ) ed esiti nei pazienti oncologici.
Il 26% delle persone con neoplasie non-polmonari ha avuto accesso alle terapie intensive, con una mortalità del 13% rispetto al 35% in coloro che soffrivano di carcinoma polmonare.
Le persone con tumore del polmone, affette da COVID-19, hanno avuto meno possibilità di accedere alle terapie intensive ( 8,3% ) rispetto agli altri pazienti oncologici ( 26% ) durante la pandemia. Con una netta differenza nella mortalità, pari al 35% nel carcinoma al polmone e al 13% nelle altre neoplasie.
Sono stati presentati i dati sui decessi da SARS-CoV-2 nei pazienti oncologici.
I dati sono ancora molto limitati, ma il COVID-19 Cancer Consortium ( CCC19 ) e il ThoraciccancERsinternationalcoVid 19 cOLlaboraTion ( TERAVOLT ) sono i due più importanti studi real world, cioè su pazienti non-selezionati, sul rapporto fra coronavirus e cancro.
Nello studio CCC19, sono stati analizzati i dati relativi a 928 pazienti con multiple neoplasie solide e concomitante infezione da SARS-CoV-2, confermata su tampone.
L’arruolamento è avvenuto tra marzo e aprile 2020, prevalentemente negli Stati Uniti.
L’età media dei pazienti era di 66 anni.
I tumori alla mammella e alla prostata erano quelli maggiormente segnalati e 366 malati ( 39% ) erano in trattamento antitumorale attivo.
Al momento dell’analisi, 121 ( 13% ) erano morti e 242 ( 26% ) erano ospedalizzati in terapia intensiva e/o con ventilazione meccanica.
I fattori associati a un aumento della mortalità a 30 giorni erano: età avanzata, sesso maschile, fumo, numero di comorbidità, performance status deteriorato ( maggiore o uguale a 2 ) e neoplasia in fase attiva.
Lo studio TERAVOLT, ha arruolato, tra marzo e aprile 2020, 400 pazienti con neoplasia toracica ed infezione da SARS-CoV-2, la maggior parte arruolati in Italia e negli Stati Uniti.
Molti erano fumatori. Il 76% aveva una neoplasia polmonare metastatica ed il 74% era in terapia al momento della diagnosi di COVID.
Sono deceduti 141 pazienti, con una mortalità del 35%. Circa l’80% era ospedalizzato, ma solo l’8,3% ha avuto accesso alla terapia intensiva ed il 5% è stato ventilato meccanicamente.
I fattori di rischio di mortalità sono stati: l’età avanzata, la comorbidità, il performance status deteriorato, la neoplasia in fase attiva condizionante una chemioterapia in corso al momento dell’infezione e l’utilizzo di steroidi.
La differenza di mortalità tra i due studi ha molte spiegazioni. Innanzitutto,la prevalenza di persone con neoplasia in remissione nello studio CCC19 rispetto al maggior numero di pazienti metastatici nel TERAVOLT. In secondo luogo, il limitato accesso alle terapie intensive nel picco pandemico in Italia al momento dell’arruolamento nel TERAVOLT. Infine, i potenziali diversi criteri di triage, che hanno regolato l’accesso alle terapie intensive nei Paesi che hanno arruolato in entrambi gli studi. ( Xagena_2020 )
Fonte: ASCO ( American Society of Clinical Oncology ) Meeting, 2020
Xagena_Medicina_2020