Rischio di trombosi nei pazienti affetti da COVID-19: identificazione dei pazienti a rischio e terapia appropriata


Due ricerche condotte da un gruppo di ricercatori della Università La Sapienza di Roma, aprono alla possibilità di riconoscere i malati di COVID-19 a maggior rischio di trombosi, e avere indicazioni più precise per ottimizzare la terapia anticoagulante.

L'elevato rischio di trombosi può presentarsi, nelle persone ricoverate per l'infezione da SARS-CoV-2, sia nel distretto venoso in forma di trombosi venosa profonda o embolia polmonare, sia in quello arterioso in forma di infarto miocardico o ictus.
Circa il 20% dei pazienti COVID può andare incontro a queste gravi complicanze durante il ricovero ospedaliero.

In uno studio multicentrico che ha incluso 674 pazienti con COVID-19, la combinazione di tre variabili quali età, albumina serica e livelli di D-dimero ( uno dei frammenti proteici della fibrina ) ha permesso di identificare i pazienti a maggior rischio di trombosi.

Coloro che avevano una combinazione di età elevata ( più di 70 anni ), bassa albumina e D-dimero elevato avevano una maggiore probabilità di trombosi, rispetto ai pazienti di età inferiore e con valori normali di albumina e D-dimero.
Mediante il punteggio ADA è possibile stabilire chi è a maggiore rischio di trombosi e chi ha necessità di un trattamento anticoagulante.

Il secondo studio risponde a una problematica ancora dibattuta dopo due anni dall'inizio della pandemia, ovvero se la prevenzione di questi eventi trombotici vada fatta con una terapia anticoagulante standard o con dosi profilattiche ( a basso dosaggio ).
E' stata condotta una meta-analisi degli studi ( circa 4500 pazienti COVID-19 ) che hanno confrontato i due tipi di trattamento, dimostrando che le dosi standard di anticoagulanti sono più adatte rispetto alle dosi profilattiche nel ridurre gli eventi trombotici senza aumentare il rischio di gravi emorragie. ( Xagena_2022 )

Fonte: Thrombosis and Haemostasis & Haematologica, 2022

Xagena_Medicina_2022